Terzo episodio della saga fantasy-rock di GM Willo, Rock City. Il racconto è liberamente ispirato alla figura di Ian Anderson, leader dei Jethro Tull. Buona lettura.
ROCK CITY – TERZO EPISODIO: Il Pifferaio delle Steppe
di GM Willo
Oltre le montagne si trova il deserto, ed una strada lunga e polverosa che taglia in due il continente. A sud di questa la vegetazione diventa selvaggia, le strade intricate, i villaggi sporadici e pieni di misteri. Laggiù i giovani sognano Rock City, mentre i vecchi siedono sui porticati a cantare vecchi pezzi blues. Laggiù tutto ha il suo tempo, tutto scorre lento, o forse non scorre affatto.
Ma a nord di quella famosa strada, che molti chiamano semplicemente “La Via”, il territorio diventa brullo, e poi ci sono i grandi laghi e oltre quelli una distesa sterminata di vegetazione bassa, fredda e inospitale. In quella landa sperduta sorge una piccola città chiamata ironicamente Notown, perché è come se non esistesse affatto. Una strana aggregazione di casette e casupole, un paio di fabbriche, un cementificio, una chiesa e un campo da football, il tutto circondato dalle grigie steppe sferzate dal vento del nord. Ed è proprio in questa città dimenticata da dio, ma forse vistata in più occasioni dal diavolo, che è nata una leggenda, e a Rock City questa leggenda si chiama Jonathan Lancelot Palmer, il pifferaio delle steppe.
Giunse in città che era appena ventenne, anche se a guardarlo ne dimostrava quaranta. Capelli arruffati, sguardo stralunato, orecchini vistosi come quelli dei pirati e una barba ispida che gli dava un look trasandato ma non sporco. Suonava il flauto, e all’inizio la gente lo guardò storto perché a Rock City nessuno si era mai dedicato ad uno strumento simile. Le major lo adocchiarono, ma per un po’ lo lasciarono perdere, perché anche se i suoi pezzi blues e la sua voce folkeggiante avevano richiamato una certa attenzione, gli esperti di marketing conclusero che si trattava di una cometa destinata a cadere presto. Invece non fu così.
Palmer si era circondato di una serie di musicisti sconosciuti ma tecnicamente validi, liberi dalle influenze dei discografici che nell’ambiente erano conosciuti con il nome di “mercenari dell’oppio”, perché erano sempre disposti a suonare se c’era uno sciamano che li riforniva. Beh, in questo caso era lo stesso Jonathan Lancelot che fungeva da sciamano, e in città si diceva che i suoi intrugli ti facevano vedere i demoni degli abissi e le ninfette succhiacazzi. Dopo i concerti i fan venivano invitati da Palmer a partecipare ai suoi festini, che erano delle vere e proprie cerimonie dedicate a Dionisio. Le pipette con la roba buona giravano insieme alle pasticche, le ragazze danzavano seminude al ritmo di un bongo, qualcuno urlava dicendo di aver appena visto un morto, un fantasma oppure dio in persona, e nel frattempo il protagonista si aggirava tra i suoi fan con il flauto in bocca e una gamba alzata come una gru, emettendo suoni stridenti, gorgoglii, rantoli ed altre assurde dissonanze. Tutta la messa in scena, a suo dire, faceva parte di un rituale liturgico.
Ma quando i suoi concerti incominciarono a richiamare diverse centinaia di persone, la Music Dome bussò alla sua porta, anche se non fu facile dato che, a quanto si diceva, Palmer era senza fissa dimora. Nessuno sapeva dove abitasse e infatti non era neanche registrato in comune. Qualcuno diceva che dormiva sotto i palchi in cui si esibiva, come una specie di vampiro. Altri invece credevano che non dormisse affatto, perché faceva uso di una sostanza di sua invenzione che eliminava totalmente il bisogno del sonno.
Ma alla MD non mancavano di certo le risorse e grazie ad un paio di infiltrati riuscì ad avvicinare il flautista. Palmer non si lasciò ingannare dalle promesse della major, ma sapeva che non era saggio mettersi contro i discografici, così fece loro una controproposta; senza contratto avrebbe inciso un unico disco doppio con tutti i suoi successi e poi sarebbe sparito per sempre da Rock City. La major c’avrebbe guadagnato in termini di soldi, e per loro era la cosa più importante, i fan avrebbero finalmente avuto l’occasione di ascoltare un disco dello sfuggente flautista e Palmer se ne sarebbe potuto andar via con un po’ di denaro in tasca, libero da qualsiasi ceppo contrattuale.
La Music Dome accettò e due mesi dopo uscì “The first and ultimate collection of J.L. Palmer”, un disco che rimase per mezzo anno in testa alle classifiche. Tutti impazzirono e chi ancora non conosceva il pifferaio delle steppe, rimase scombussolato da quel sound vagamente folk ma assolutamente rock. Quando gli uomini della Music Dome si accorsero che il disco vendeva ben oltre le loro aspettative, provarono a rintracciare Palmer per convincerlo, con i loro soliti mezzi persuasivi, a fare un tour nei grandi stadi di Rock City, ma in città non vi era più traccia del ragazzo prodigio venuto da Notown. Qualcuno disse che era tornato da dove era venuto. Altri invece pensarono ad un’isola del sud, lontano dal mondo corrotto dei discografici. Eppure c’è ancora chi crede che il pifferaio delle steppe viva sempre a Rock City, che abbia alterato il suo look e cambiato nome, e gestisca un pub o magari un negozio di dischi nella città vecchia. Ma anche questa, come tutto il resto, è solo una leggenda.
… bello anche questo espisodio, mi è piaciuta l’idea della controproposta… la libertà è qualcosa di impagabile… 🙂