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TRE MUSICI CONTRO L’INNOMINABILE

6 Nov

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Peter e Daevid fecero un salto a casa di Ian, quella vicino al bosco, quella col porticato di legno e il grande camino in pietra. Il tavolo davanti al fuoco era imbandito di liquori, caramelle e funghetti. Insomma, c’era tutto il necessario per passare una bella serata. Una serata in compagnia…
Calarono le ombre, il fuoco continuava a scoppiettare e i tre sedevano beati a raccontarsi storie. Daevid descrisse mondi impossibili, pieni di fiori e di colori. Ian parlò del bosco e dei suoi mille segreti. Peter invece raccontò un paio di filastrocche senza senso. Gli altri fecero finta di niente perché sapevano che Peter era fatto così. Più unico che raro.
Ma insieme alle ombre calò qualcos’altro, ancora più oscuro e terribile. Complice di Tenebra e di Polvere, egli non ha nome, perché è l’assenza del suono, la rottura della sinfonia. Qualcosa di estremamente diverso dal silenzio, che a volte può diventare musica. L’Innominabile è il vuoto sonoro, il divoratore della vibrazione cosmica, il cospiratore di Entropia.
Il suo approssimarsi è sfuggente, uno sfrigolio nella matrice della realtà, giochi di luce e ombre cinesi. Fu il fuoco che scoppiettava ad avvertire i tre amici. D’un tratto danzò in maniera diversa, proiettò ombre maligne. Digrignò le fauci, azzannò l’aria, urlò. Perché il fuoco parla, a chi è capace di ascoltarlo…
I tre si mossero lenti ma precisi. I funghetti e le chicche erano in circolo, e questo amplificava la sensibilità, ma rallentava i riflessi. Lo scongiuro poteva funzionare solo se avessero unito i loro poteri.
Spostarono il tavolo e le sedie, facendo spazio davanti al camino. Poi ognuno afferrò il suo strumento. Daevid suonava il liuto, Ian il flauto e Peter i tamburi. Qualcuno batté il tempo e, allo scoccare del quarto quarto, fu subito musica…
Esistono luoghi che hanno poco a che fare con la realtà, la scienza, la ragione. Sono i luoghi della fantasia, delineati da menti sensibili e cuori romantici, costruiti su dei castelli d’aria fritta, zucchero filato e caramello. In uno di questi potreste forse trovare il prato in cui si combatté questa straordinaria battaglia. Tre musici contro l’Innominabile divoratore del suono.
Chi vinse? Beh, è ovvio. Vinsero i tre amici. Ma l’Innominabile non è stato sconfitto. Egli vaga ancora nello spazio siderale, infilandosi dentro buchi neri, esplodendo insieme a intere galassie. Egli continua la sua eterna lotta contro la Grande Sinfonia, il disegno che ha dato vita a questo nostro universo.
Finché la musica suonerà, saremo al sicuro. Ma dovete promettermi una cosa…
… non spengete lo stereo. Non spengetelo mai!

AERIBELLA LASTELLE

STORIE DI NUVOLE

7 Ott

Aeribella Lastelle è un personaggio della Giostra di Dante, il gioco di ruolo dei poeti e degli scrittori, un luogo virtuale in cui vengono presentati racconti e poemi a nome di persone inventate dalla fantasia di alcuni giocatori di ruolo. L’esperimento è iniziato nell’estate del 2008 attraverso il circuito willoworld.net, un palinsesto dedico ad ogni sorta di creatività in rete. L’idea è quella di scrivere attraverso gli occhi di un personaggio scrittore, il cui background diventa la migliore ispirazione per dare un certo taglio a quello che si vuole scrivere. Nel caso della Lastelle, giovane ragazza amante della fantasy e della musica rock, il giocatore ha provato in molte storie ad amalgamare queste due passioni, dando vita a un paio di racconti unici nel loro genere. Storie di Nuvole é la sua prima raccolta.

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LA SIMPATIA PER IL DIAVOLO DEI FRATELLI BOGIE

9 Set

I fratelli Bogie suonavano il blues. Classici di derivazione rock, tipo Cream, Dylan, Stones. Venivano giù al pub alla fine di ogni mese. Non parlavano mai con nessuno. Kit al basso, Rick alla batteria e Pete alla chitarra e voce solista. I loro nomi risaltavano in lettere luccicanti su ogni strumento. Sulla grancassa era disegnato il loro logo, un coniglio saltellante sopra la scritta Bogie’s Brothers. Erano semplicemente magnifici.
Per il pub del paese era un toccasana. Nessuno sapeva di preciso quando sarebbero venuti. A volte li vedevi apparire il ventisette, altre il trentuno. A febbraio potevano sorprenderti il ventiquattro. Per questo motivo il locale era sempre affollato in quei giorni. La gente si metteva da parte i soldi per farsi l’ultima settimana del mese al pub.
Piccoli, taciturni, vestiti in modo vagamente retrò, li vedevi arrivare su un furgoncino wolkswagen color ocra. Entravano dalla porta principale senza salutare, e con gli strumenti sottobraccio si avviavano verso il palco. Il pub diventava improvvisamente silenzioso. Cento, centoventi persone, molte delle quali già un po’ brille, rivolgevano loro un ossequioso omaggio di benvenuto. La folla si apriva come le acque del mar rosso davanti a Mosè. Se qualcuno stava occupando il palco, smetteva all’istante di suonare e liberava il posto.
Loro, piccolini ve l’ho già detto, simili in tutto e per tutto tanto da sembrare gemelli, esibivano un ciuffo sbarazzino che li copriva quasi interamente il volto. Nel silenzio incantato del locale, si udivano solo i tonfi dei loro stivali sul palco di legno e le scariche elettriche degli spinotti. Poi iniziava sempre Rick con le bacchette; one, two, three, four…
Quella sera, la sera di cui vi voglio parlare, stavano suonando un repertorio classicissimo. Avevano attaccato Strange Brew, e Pete muoveva le dita sulla chitarra come il miglior Clapton. Nell’aria c’era odore di sigarette e pesce fritto, quello che si serve di solito con patatine.
Io sedevo insieme a Rico, un ragazzo che conoscevo da quando ero nata ma con cui non ero mai uscita. Quella sera decisi che mi piaceva. Mi piacevano i suoi modi educati, a volte così carinamente impacciati, i suoi silenzi mai veramente imbarazzanti, la spessa montatura dei suoi occhiali, che lo faceva nerd, ma con un certo fascino. Non era il tipo da fare mosse azzardate, perciò mi ero già decisa di baciarlo quella sera stessa. Con certi ragazzi, di solito i migliori, se non si prende l’iniziativa subito si rischia di diventare solo amici. Ed io non volevo essere solo amica di Rico.
Parlavamo di musica, e di che altro sennò. A lui piaceva la prima psichedelica, quella di Jefferson Airplane per intenderci. Ma ascoltava anche roba nuova, il filone elettronico nordico, come i Mum ad esempio. Ci intendevamo su alcuni lavori di Bjork, quelli più sperimentali. Insomma, era un bel parlare. Davanti a noi due pinte piccole di chiara.
Quando i Bogie attaccarono a suonare nessuno parlò più. Venimmo letteralmente rapiti dalla performance. L’impatto di quel sound era una macchina del tempo. Trasportava l’ascoltatore quarant’anni indietro.
Qualcuno in paese diceva che non erano come noi. Nessuno sapeva da dove venissero, nessuno riusciva a parlarci, non accettavano compensi, non bevevano birra… Arrivavano, suonavano e se ne andavano.
Timmi, il figlio del proprietario del pub, aveva provato a seguire il furgoncino wolkswagen, attraverso le curve e i tornanti che portavano fuori dal paese, ma era stato facilmente distanziato.
C’erano storie che dimoravano nelle profondità mnemoniche del villaggio, dicerie, superstizioni, assurdità alle quali tutti facevano finta di non credere. Storie di spettri, di banshee, di piccole creature della foresta, di nani e di giganti. E c’erano anche i Bogies. Si, si chiamavano proprio così.
Quella sera finirono con un pezzo sorpresa. Espressero la loro simpatia per il diavolo in un modo che neanche i migliori Jegger e Co. sarebbero riusciti a fare. Avvertii un formicolio, una sensazione di disagio, ma in qualche modo piacevole. C’era qualcuno o qualcosa che osservava, che ascoltava insieme a noi. Nelle scure finestre del locale andavano a morire i riflessi delle lampadine. Ma vi giuro che una di queste, mentre Pete cantava “piacere di conoscerti!” rimase completamente scura. Afferrai la mano di Rico. Gli indicai il vetro nero, la finestra oltre il palco. E anche lui li vide. Due occhi. Due fiamme brucianti.
Perché davanti ad un buon blues, neanche il diavolo riesce a resistere.

Aeribella Lastelle