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ROCK CITY- SESTO EPISODIO: King Nico

5 Apr

Torna dopo un anno di stop la saga di Rock City. Ecco il sesto episodio di questa avventura fantamusicale sempre generosa di sesso, droga, rock’n’roll e naturalmente lui, il diavolo… Tutta la saga è ispirata al Fantasma del Palcoscenico, film cult di Brian de Palma, e forse questo racconto più degli altri omaggia quella straordinaria pellicola.

King Nico, direttore artistico della Music Dome, centocinquantotto centimetri di pura energia creativa, due occhi azzurri e profondi incorniciati da un nugolo di boccoli dorati, supervisionava le ultime direttive per l’imminente apertura del Fantàsia, il nuovo tempio del rock nella città del diavolo. Seduto tra le ombre in fondo alla platea deserta, ascoltava le performance degli artisti, mentre con gli occhi divorava gli spartiti sottratti dalla suite di Jonathan Leverick, il compositore che si era gettato dalla finestra della sua camera d’albergo un paio di giorni prima. Era stato un brutto colpo, non solo per i fan, ma anche per la Music Dome. La casa discografica aveva investito un bel gruzzoletto sulla sua gallina dalle uova d’oro, certa che lo spettacolo che stava preparando avrebbe decretato l’immediato successo del nuovo locale. Jonathan stava scrivendo un concept epico che ripercorreva le avventure di un grande condottiero del passato che per odio, o forse per amore, aveva rifiutato il suo dio ed era sceso a patti con l’eterno avversario. La composizione era come al solito impeccabile, ma Nico era convinto che Leverick non incarnava l’immagine giusta per un luogo come il Fantàsia. Avrebbe regalato al suo pubblico una performance eccellente, ma Nico non stava al gioco per un semplice “eccellente”. Lui voleva qualcosa di memorabile…
Per questo motivo aveva chiesto ad un paio di scagnozzi di andarlo a trovare nella sua suite, per spiegargli gentilmente le tecniche di volo dei corvi e delle colombe. Purtroppo non era stato abbastanza attento alle loro direttive e si era sfracellato di fronte alla hall del Parnassus, l’hotel dove prendeva alloggio. Subito i fan avevano mosso accuse alla major, ma la Music Dome non c’entrava nulla, anzi… Se l’amministratore delegato avesse saputo come erano andati davvero i fatti, per Nico sarebbe stata la fine. Le quotazioni della società erano in ribasso e l’apertura del Fantàsia rischiava di trasformarsi in un flop, malgrado la fiumana di soldi investiti.
Ma quando un artista ha una visione, niente può mettersi tra lui e la sua realizzazione. Questo aveva sempre pensato Nico. La Music Dome gli aveva commissionato qualcosa di sensazionale, e il direttore artistico più all’avanguardia di Rock City gliela avrebbe consegnata su un piatto d’argento, non per soddisfare i ricconi della major, che poco o nulla sapevano di arte, lo avrebbe fatto per incidere il suo nome con lettere indelebili nella mente dei ventimila spettatori che si erano prenotati un posto per la prima. Il suo nome sarebbe rimasto nell’olimpo di Rock City, per sempre.
Nico aveva visionato circa una trentina di pretendenti ma nessuno era riuscito ancora ad avvicinarsi a quello che aveva in mente. La musica era pronta, era perfetta, perché quel diavolo di Leverick ci sapeva fare. Adesso mancava il sound. Nico era in cerca di un nuovo strepitoso sound…
Assorto in strani pensieri ma con le orecchie rivolte al palcoscenico, arrivò a prendere in considerazione la possibilità di posporre l’apertura del locale. No, quelli della MD non gliel’avrebbero mai perdonata e sarebbe stato immediatamente sostituito con quell’idiota di Curtis, buono soltanto a tuffarsi nel Vortice. Non che a Nico dispiacesse buttar giù qualche buona pasticca, ma quando lavorava ad un progetto voleva essere pulito, per meglio sintonizzarsi sul suo canale creativo, diceva.
Un riff di chitarra lo richiamò improvvisamente da quel turbine di pensieri. Non male l’uso del compressore, pensò, ma rimase con la testa abbassata e gli occhi puntati sul pentagramma della composizione di Leverick. Aspettava la voce, perché per quanto virtuoso poteva essere il chitarrista, era la voce che il pubblico voleva. Era la voce che avrebbe innescato nei cervelli alla deriva del popolo di Rock City il bisogno di canticchiare la melodia della canzone, il bisogno di comprare il disco e i gadget annessi, il bisogno di calare una nuova pasticca degli shamani al soldo delle major, per viaggiare liberamente in quel luogo misterioso a metà strada tra lo sballo e la vibrazione che la gente chiamava semplicemente il Vortice.

“Veil of mystery upon the deepest smile
She danced between the columns
Of the ancient house on the river Nile…”

Era la prima strofa del pezzo “The Birth of Riva”, la terza canzone del concept che sarebbe stata lanciata come singolo. La voce non era quella di un uomo. Nico alzò di scatto la testa, sorpreso e confuso, due sensazioni che preannunciavano sempre qualcosa di grande. La ragazza, piccola e graziosa con lunghi capelli corvini che le ricadevano lisci sulle spalle, vibrava le sue corde vocali sull’ottava superiore, in una litania epica e graffiante al tempo stesso. La chitarra l’accompagnava arpeggiando, sopra i colori di una batteria mai troppo impertinente. Sotto si sentivano le note dell’hammond, sognanti e decise, e il tempo scandito con entusiasmo dal basso Fender.
“Questo… ecco cosa ci vuole…” pensò King Nico, tirandosi indietro la ciocca di capelli dorati che gli era ricaduta sugli occhi. Ordinò a qualcuno nell’ombra di portargli un microfono. Per dimostrare il suo interesse non attese la fine della canzone. Ormai aveva deciso e lui non era certo il tipo che tornava sulle sue decisioni. La sua voce, squillante e risoluta, s’intromise nel pezzo che fuoriusciva in tutta la sua potenza dagli altoparlanti del teatro.
– Come vi chiamate? – domandò.
La ragazza, intimidita da quell’inaspettata intrusione, fece un piccolo passo in avanti, mentre gli strumenti dei suoi compagni interrompevano il pezzo tra le scariche elettriche.
– Mesmerized Eyes… – rispose con un filo di voce.
– Forse il nome lo cambiamo… per il resto va bene così… – sentenziò Nico. Nessuno lo vide alzarsi e sparire dietro le spesse tende di velluto scuro appese tutte intorno alla platea.
La macchina della musica e dei verdoni si mise subito in moto, con i suoi ingranaggi perfettamente oliati. Quella sera la cantante del gruppo, timida e talentuosa diciannovenne che si faceva chiamare Amber, fu invitata nel suite del direttore artistico per parlare dell’imminente spettacolo che vedeva la sua band protagonista. I due in verità parlarono molto poco. Lui le allungò due capsule viola e mezz’ora dopo si ritrovarono immersi nella vasca idromassaggio ad assaggiarsi reciprocamente le proprie lingue. Nico le promise un’avvenente carriera solista, lei gli mostrò un sorriso strafatto e gli circondò le spalle lasciandosi prendere completamente. Il giorno dopo vi furono le prove. Mancavano pochi giorni alla prima ma King Nico avrebbe fatto in modo che per allora tutto fosse perfetto.
L’apertura del Fantàsia fu un successo strepitoso. I giornali ne parlarono per settimane, la gente si riversò dentro il locale riempiendolo per tre mesi di fila, il disco dei Mesmerized Eys, che nel frattempo erano diventati i Crimson Paradise, schizzò in testa alle classifiche e naturalmente le azioni della Music Dome subirono un evidente rialzo, per la felicità di tutti.
Per allora il nome Jonathan Leverick era già stato dimenticato e il suo caso archiviato come semplice suicidio. Perché questa era la cruda realtà di Rock City.

GM Willo per Rock CityLeggi gli altri episodi

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LINGALAD VS FIABA

9 Nov

Due gruppi nostrani di pura musica fantasy, ai quali va tutta la mia simpatia. Più leggeri i Lingalad, con testi romantici ispirati al Signore degli Anelli, più metallici invece i Fiaba. Personalmente preferisco i secondi perchè sono effettivamente unici nel loro genere, anche se forse i Lingalad sono più piacevoli da ascoltare.

LINGALAD – BREVE BIOGRAFIA

Una storia curiosa e unica quella dei Lingalad: gruppo italiano indipendente che suona in giro per il mondo (New York, Toronto, Bruxelles, Amsterdam…) ma ancora poco conosciuto in Italia alle masse.
Invitati in Canada a suonare alla prima mondiale del film “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson, hanno parlato di loro Il Corriere della Sera, La Repubblica, Il Giorno, Panorama, La Voce, Tg1, Tg3, Rai International, Sky Planet, ecc. Per leggere le recensioni: http://www.lingalad.it.
Il gruppo ha realizzato quattro cd:
1) Voci dalla Terra di Mezzo (dedicato al Signore degli Anelli);
2) Il Canto degli Alberi (strumentale);
3) Lingalad in concerto (registrato nella Chiesa Vecchia di Predore);
4)Lo Spirito delle Foglie (nel quale i Lingalad hanno messo in musica le riflessioni di alcuni elementi naturali)
Inoltre hanno all’attivo un dvd dal titolo I Sentieri di Lingalad (1h e 30m).
I Lingalad sono ben rappresentati anche on line, dove più di 300 siti italiani e stranieri propongono notizie, interviste, curiosità e recensioni del gruppo in oltre quindici lingue diverse.
Degna di nota la lettera di complimenti ricevuta da Priscilla Tolkien, figlia del Professore di Oxford.
Nel 2006 il loro album Il Canto degli Alberi si è classificato al secondo posto al concorso nazionale promosso dalla TOAST RECORDS per il M.E.I. di Faenza. Il cantante del gruppo, Giuseppe Festa, ha pubblicato un romanzo dal titolo I Boschi della Luna per la Larcher Editore. E’ in uscita nelle librerie il libro-biografia edito da Bastogi La musica dei Lingalad – da Tolkien ai Segreti della Natura.

dal sito ufficiale


I FIABA nascono nel ’91 in Siracusa ad opera di Bruno Rubino, batterista della band e autore dei brani, che riunisce sotto questo nome alcuni musicisti conosciuti in passato e come lui alla ricerca di un nuovo sound.
Notati subito dalla stampa specializzata i FIABA ricevono offerte da diverse etichette fra le quali la tedesca W.M.M.S. e la svizzera WHITCHHUNT, firmando nel ’93 per la Mellow. È la volta di “XII L’ appiccato” (maggio ‘94), il primo CD con il quale si affermano come una delle bands più interessanti del panorama rock attuale. Nel ’96 firmano un nuovo contratto con la Pick-up records, con la quale realizzano il loro secondo album: “Il cappello ha tre punte”. Seguirà il brano “La gemma nel pozzo” contenuto nella compilation “Il suono sotto la cenere” dedicata alle nuove realtà musicali italiane per la Ricordi Mediastore. Nel settembre del 2001 esce il loro terzo disco, un concept album dal titolo “Lo sgabello del rospo”(Lizard-Audioglobe), Nel 2002 il regista francese Marc Faye realizza un documentario su di loro seguendoli on stage per alcuni mesi. Durante lo stesso anno i FIABA firmano un nuovo contratto con la PCFILM di Pierluigi Cavarra, con la quale realizzano il loro primo DVD “I sogni di Marzia” videoclip della suite omonima contenuta nel loro primo album e divenuta negli anni un vero e proprio brano di culto nel repertorio del gruppo. Questo sodalizio artistico porterà alla realizzazione del videoclip “Scerrinath il fiore delle bugie”(2004) ed al loro primo doppio (CD+DVD), intitolato “I racconti del giullare cantore”(2005), contenente il videoclip dell’opening track “Angelica e il folletto del salice”.
Non è possibile etichettare il sound dei FIABA, unici nel loro genere; infatti, pur proponendo brani in lingua italiana, non sono stilisticamente accostabili a nessun’altra formazione presente attualmente nel nostro paese.

dal sito ufficiale

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ROCK CITY – Quarto Episodio: Rooster Crane

16 Mar

Questo nuovo episodio di Rock City è ispirato a un’altra figura caratteristica degli anni settanta del genere progressive, Vincent Crane. Il tastierista e fondatore degli Atomic Rooster si distinse per il suo look darkeggiante, le sue lugubri atmosfere di piano (Death walks behind you) e le sue depressioni che lo portarono nel 1989 al suicidio.

QUARTO EPISODIO: Rooster Crane

Il concerto degli Abyss era terminato in un tripudio di urla di disperazione e pianti isterici. La band più “scura” di Rock City aveva lasciato il palco tra i rintocchi di campana della tenebrosa e bellissima “Funeral”, dopo un concerto di quasi tre ore. Per l’occasione il cantante e leader della band si era fatto rinchiudere in un cofano d’ebano posizionato al centro del palco. Un becchino smilzo e incappucciato scandiva il tempo del finale per solo piano conficcando dei lunghi chiodi d’acciaio nella bara. I quarantacinquemila dell’Arena Nord erano in estasi.
Ma a Rock City i concerti erano solo l’inizio dell’avventura notturna. La festa di solito continuava nei club e nei pub della città, tutti rigorosamente di proprietà delle major. Poi c’erano le feste private, anche se illegali, perché alla Dome Records e alla Dream Music non andava a genio che la gente si sballasse nelle proprie case con gli alcolici comprati al supermercato e le pasticche degli sciamani di strada. Ma nonostante il severissimo divieto, ogni sera vi erano centinaia se non migliaia di party liberi nella metropoli. Continua a leggere

ROCK CITY – Secondo Episodio: Il Fantasma di Penelope Pearl

1 Mar

Torna Rock City, un mondo immaginario in cui si aggirano improbabili creature seventies pronte a tutto per vivere il sogno della città della musica. Il mio inseparabile compagno di avventure virtuali, Charles Huxley, ha coniato un logo apposta per questo progetto. Grazie Charles!

Entrate nel mondo di Rock City, una città fuori dallo spazio (anche se molto yenkee) e fuori dal tempo (ma è di sicuro l’era del vinile), in cui la magia, il diavolo e la musica si fondono per servirvi un delizioso spezzatino di emozioni. Buona lettura!

SECONDO EPISODIO: Il Fantasma di Penelope Pearl

I ragazzi sedevano sulle panchine del parco, quello dietro l’Agorà, il più grande dei centri musicali della Dream Records, sessantamila metri quadri di negozi di strumenti, sale di registrazione, bar, ristoranti, negozi di dischi, e poi parrucchieri, tatutatori, tabaccai e rivenditori di gadget di ogni tipo. Il tutto sorgeva intorno a due grandi palcoscenici sui quali ogni sera dava spettacolo la crema del pop di Rock City. Erano passate da poco le tre di notte e i bandoni erano ormai chiusi. Avrebbero riaperto appena sei ore dopo, perché il flusso era inarrestabile e la voglia di fare parte del grande gioco della musica non risparmiava nessuno. A quell’ora gli irriducibili rimanevano sulle panchine del parco, aggrappati all’ultima bottiglia di birra, per lasciarsi accarezzare ancora un po’ dalla notte e smaltire nella testa i fumi delle pasticche.
– Dai Alvin, raccontaci ancora della Pearl…
– Mio Dio, che schianto che era, me la sarei fatta…
– Ehi ragazzi, piano con le parole. La ragazza non era di certo una santa, ma la sua voce metteva i brividi e solo per questo non le si può mancare di rispetto, specialmente adesso che non c’è più…
– Già, è stata una perdita per tutti, soprattutto per la Dream Records…
– Che si fottino quelli della Dream Records…
– Dai Alvin, dicci come è andata…
– Cazzo, lo sai come è andata, te l’avrà raccontata almeno cento volte…
– Si, ma è sempre uno spettacolo. Dai incomincia, che la benzina è quasi finita…

Alvin si sistemò a sedere coi piedi sulla panchina e le braccia poggiate sulle ginocchia, in modo da poter guardare tutti quanti in faccia, perché quando Alvin raccontava una storia voleva entrarti dentro e farti credere a tutto, la magia, il diavolo e gli spettri del palcoscenico. Rock City era una città strana e succedeva sempre qualcosa di inspiegabile, perché nella metropoli della musica la magia esisteva per davvero, e la linea che divideva il vero dall’immaginato correva sul filo delle sostanze spacciate dagli sciamani. La storia di Penelope Pearl la conoscevano tutti in città, ma nessuno riusciva a raccontarla bene come Alvin, giovane roady al soldo della D.R. Intendiamoci, lavorare per una major era una cosa normalissima a Rock City, se si considera che più del sessanta per cento del fatturato cittadino veniva dall’industria musicale e affini. Se volevi campare, il che significava rimanere nel giro, divertirti ed assistere ogni tanto ad un bel concerto, non ti restava che mettere da parte i tuoi principi ed incassare l’assegno dei discografici. Alvin avrebbe volentieri dato fuoco a tutta la baracca, ma le cose non sarebbero cambiate e lui avrebbe sicuramente fatto una brutta fine, perché non conveniva mettersi contro le major. Per questo e per altri motivi, tanto valeva seguire il flusso e vivere il sogno.
Il silenziò calò attorno alla panchina. Il ragazzo si lasciò andare ad un lungo sorso di birra, poi scaraventò la bottiglia vuota nelle ombre del parco. La storia poteva incominciare.
– Penelope Pearl aveva mille talenti, ma io la ricorderò per sempre per queste tre cose; la voce, gli occhi e la parlantina. Erano tre abilità che si fondevano nel momento in cui voleva colpirti. Ti guardava, dal basso dei suoi centosessantuno centimetri, e potevi già dirti fottuto, perché perdersi nel verde smeraldino dei suoi occhi era come abbandonarsi ad un tuffo nel vuoto. Poi ti parlava e, a differenza di molti cantanti, che quando li senti chiacchierare ti chiedi come facciano a tirar fuori dalla gola certe note, la magia della sua voce ti arrivava dritta al cuore, proprio come quando attaccava uno di quei pezzi strappa-anima con cui usava chiudere i suoi concerti. E mentre facevi i conti con le emozioni rimescolate dal timbro di quella giovane gattina, lei t’infilzava con le parole giuste, che ti sparava addosso come una mitraglietta. Continua a leggere

ROCK CITY – Primo Episodio: Il Concerto dei Sacrifice alla Spiaggia

23 Feb

Unire la passione per la fantasy con la mitologia rock era una sfida che mi ero preposto già da diverso tempo. Riascoltandomi e rivedendomi le scene di quella chicca di Brian De Palma, Phantom of Paradise, mi è sorta l’ispirazione per una mini-saga da presentare ad episodi sul sito The Colony of Slippermen. Rock City è una città immaginaria collocata ai tempi del vinile. All’interno di questo ipotetico scenario si muovono i personaggi classici del mondo del rock, tutti rigorosamente reinventati ed enfatizzati per l’occasione. Musica, magia, droga, sesso, money e naturalmente lui, il diavolo. Una zuppa glamour da rimescolare per gioco ed assaggiare nelle serate balorde, quando la cassa della birra è a metà…

Buona lettura!

PRIMO EPISODIO: Il Concerto dei Sacrifice alla Spiaggia

La spiaggia era l’ultima attrazione underground, una striscia di terra non completamente soggetta alle regole della città, forse a causa della marea che la rendeva accessibile solamente dopo le dieci di sera. Fino al calar del sole infatti i bagnanti si accanivano per un metro quadrato di sabbia, che dall’argine che divideva il lungomare fino al bagnasciuga non c’erano più di dieci metri, per un tratto di appena un chilometro. Il resto della costa apparteneva agli scogli o al porto di Rock City, lo scalo per carghi più importante del litorale. Ma le attività portuali non erano certo la risorsa economica principale della città. Rock City era il centro nevralgico dell’industria musicale, “the place to be”,  una metropoli sconfinata che dalle montagne rocciose si estendeva fino all’oceano; case, palazzi, giardini e una rete intricata di strade sulle quali ogni giorno milioni di autovetture disegnavano quel moto perpetuo che incorniciava la macchina da soldi più redditizia di tutto il paese. Rock City rappresentava il traguardo dei giovani rockers che rincorrevano le chimere di denaro e popolarità. In realtà, dietro il sipario dorato dell’industria musicale, si nascondevano orde di affamati avvoltoi e zannuti caimani. Una volta che l’aspirante star veniva irretita dalle suadenti parole dei discografici, non c’era possibilità di salvezza. I contratti stipulati dalle due grandi major del paese imprigionavano la creatività del musicista trasformandolo in un animale da allevamento, una gallina costretta a cagare uova dal culo fino al giorno della sua morte. Alla maggior parte degli artisti poteva anche andar bene trascorrere la loro dorata esistenza dentro le ville bunker, assediati dai fan guardati a vista dalle guardie del corpo, intontiti per buona parte della giornata dalle droghe più in voga dell’ambiente. Gli sciamani facevano ottimi affari. Molti di loro lavoravano per le major e avevano il compito di tenere i “ragazzi” tranquilli.
Rock City vantava nove enormi stadi e centinaia di edifici per ospitare concerti ed eventi musicali. Ognuna di queste strutture apparteneva o alla Music Dome o alla Dream Records, le due case discografiche che detenevano il patrimonio artistico musicale del paese. Se volevi far suonare la tua band, dovevi essere pronto a firmare un patto di sangue, altrimenti ti rimanevano i marciapiedi oppure i luoghi improvvisati, come la spiaggia appunto. Continua a leggere

FANTASY BLUES

26 Giu

Fantasy Blues

Solitario sul palco, Timoty evocava le arie di Gato Barbieri, comodamente seduto sullo sgabello di legno. Le luci del pub erano soffuse, il sax viaggiava lontano, la birra era fresca e nell’aria si avvertiva il profumo delle candele di citronella, sparse un po’ ovunque sui tavoli. Le finestre naturalmente erano aperte. Quel giorno alle una il termometro aveva toccato i quarantadue gradi. Molti se ne erano andati al lago, a cercare un po’ di refrigerio. Gli altri erano seduti ai tavolini del Carpe Diem, l’unico pub del villaggio, e ascoltavano il sax del vecchio Timoty.

Io ero seduta tra di loro, ma era una notte strana e nessuno sembrava farci caso. D’estate ce n’erano molte di notti così. Non ero là né per la birra, né per cercare compagnia. La solitudine del bosco mi tiene in vita, il distacco dal mondo è il mio nutrimento. Mi ero avvicinata perché mi piaceva il sax, e mi piaceva come lo suonava Timoty. Era come se accompagnasse ogni singola nota con una carezza. Come se insegnasse la melodia a volare, dandole delle leggere spintarelle affettuose. Le note si distaccavano dalla bocca del suo strumento alzandosi in volo. Il tutto avveniva in maniera così naturale che ti veniva da chiederti se quel sax non fosse un estensione del suo corpo.

Ma io lo conoscevo bene Timoty. L’ho visto nascere, quasi settantadue anni fa. Era un bambino timido e tranquillo. A cinque anni già suonava l’armonica, ed io lo spiavo da dietro i cespugli, quando scendeva giù al fiume con i suoi cuginetti. Ricordo un giorno in cui lo presero in giro per via dei suoi calzoni. Se li era strappati didietro entrando in un cespuglio di rovi. Allora lo presero di peso e lo buttarono nell’acqua gelida del ruscello. Non fu affatto carino, così mi venne voglia di vendicarlo. Quella notte nessuno di quei bimbi chiuse occhio, e anche se è passato tanto tempo, ancora si ricordano quell’evento. Forse anche per questo hanno tutti lasciato il villaggio.

Timoty invece è rimasto. Ha viaggiato molto in passato. Ha suonato in posti prestigiosi, anche dall’altra parte del paese. Ma dopo le tournee tornava sempre qua, da sua madre e sua sorella. Non si è mai sposato, ma sono convinta che ne ha avute di avventure, e con la sua musica deve aver spezzato molti cuori. Forse è per questo che ho un debole per lui. Perché è un po’ come me, solitario, riservato. E poi anche lui usa la magia…

Ecco che attacca quel pezzo di Stan Getz. Eh, si. Sembra proprio uno dei miei incantesimi. Sta guardando proprio verso di me. Sono quasi sicura che riesce a vedermi. Che simpatico, mi ha appena fatto l’occhiolino.
Vecchio Timoty, che bello sarebbe se tutti gli uomini fossero come te, se avessero il tuo cuore. Allora finalmente non avremo più paura e smetteremo di nasconderci nei boschi. Torneremo a organizzare quelle bellissime feste che facevamo tanti secoli fa, con i giochi, i balli, la musica, il vino. Quasi non li ricordo più.
Ecco la fine della canzone. Semplicemente splendida. Chissà se ci regala un’altra magia…

Che lo crediate oppure no, qualsiasi cosa ha un prezzo. Vi piace la TV. Spengetevi accendendola. Io me ne rimarrò sul divano ad ascoltare questo sax incantato.

Aeribella Lastelle

La giostra di dante