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QUATTRO DISCHI ROCK IN ATTESA DEI GIGANTI DEL PROG

31 Ago

Cercherò di tornare a parlare di musica ascoltata, dopo un’estate passata più ad attendere le grandi uscite che ci aspettano per settembre che a sollazzarmi gli orecchi con i nuovi album caricati sul mio lettore mp3. Quattro album rock hanno fatto da antipasto per prepararsi agli annunciati Opeth, Dream Theater, Steven Wilson, The Tangent e altri ancora, per un autunno all’insegna del grande prog.

Essenziale fin quasi a suonare troppo scarno il nuovo lavoro dei Primus che tornano a distanza di una decade con l’album Green Naugahyde, un disco da riascoltare attentamente in cuffia a dispetto della sua forza d’impatto. Per il momento mi lascia però un po’ perplesso… (L’album è previsto per il 13 settembre ma è già in rete da un bel po’).

I Red Hot Chili Peppers tornano senza Frusciante e coniano un disco a mio avviso piacevole, con un Kiedis in ottima forma e un singolo che ti rimbalza nella testa fin dal primo ascolto. I’m with you è un album leggero e fresco, come una birra ghiacciata al tramonto su un tetto di Venice Beach, dove è stato girato il video di The Adventures of Rain Dance Maggie.

Avevo già parlato dell’imminente uscita del nuovo Incubus e del clamoroso leak con due mesi di anticipo ma non avevo avuto occasione di dimostrare il mio apprezzamento per un album molto diverso dai precedenti; rockettino da spiaggia ma fatto davvero bene, con la voce di Boyd sempre in gran forma. Perla del disco, vagamente progressiva, In the company of the wolves. Concerto prenotato per novembre prossimo.

Infine una band minore che fa spudoratamente il verso ai Led Zeppelin. I Rival Sons con questo secondo Pressure and Time riescano a teletrasportarti negli anni settanta con i primi i due accordi. Un disco molto energetico con un singolo che spacca davvero il culo.

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THE DEAR HUNTER: The Color Spectrum

9 Giu

Chi è Casey Crescenzo? È un tenerone di 27 anni con la barba con già una notevole carriera musicale alle spalle, leader fondatore dei The Dear Hunter, band di alternative rock con uscite progressive, songwriter, polistrumentista e produttore a tempo perso. Ma soprattutto Casey Crescenzo è la voce sofferta e melanconica che ci racconta la saga di “The Boy”, protagonista di un concept di sette album iniziato nel 2006 con il primo atto (The Lake South, The River North) e continuato nel 2007 e 2009 con gli atti 2 e 3, veri e propri gioielli del rock moderno.

Prima di proseguire con questa avvincente storia, Casey e compagni si sono dati una “pausa”, per così dire, buttandosi su un altro progetto che era da tempo in cantiere. The Color Spectrum è un cofanetto di 9 vinili (da 10”), ognuno corrispondente ad un EP denominato da un colore. Da questa opera sono stati estratti undici pezzi che formano il CD appena uscito, anche questo intitolato The Color Spectrum.

Chi conosce già i The Dear Hunter apprezzerà fin dal primo ascolto questo nuovo lavoro della band americana. Chi invece non ha avuto ancora la possibilità di ascoltare le toccanti melodie della voce di Casey, alternate ad affilate schitarrate e suggestive sezioni di piano, questa è l’occasione buona per tuffarsi nel loro mondo.

Cliccate sulle canzoni per ascoltarle.

THE COLOR SPECTRUM
The Dear Hunter

1. Filth and Squalor (Black)
2. Deny it All (Red)
3. But There’s Wolves? (Orange)
4. She’s Always Singing (Yellow)
5. Things That Hide Away (Green)
6. The Canopy (Green)
7. Trapdoor (Blue)
8. What Time Taught Us (Indigo)
9. Lillian (Violet)
10. Home (White)
11. Fall and Flee (White)

 Leggi anche: The Dear Hunter

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FRANCK CARDUCCI – Oddity

2 Giu

Oddity, opera prima del chitarrista-polistrumentista Franck Carducci, racchiude fin dalle prime note tutta la magia della scena sympho-prog, facendo il verso ai capostipiti Marillion e Pendragon, omaggiando ovviamente i maestri Genesis e chiudendosi con una vera e propria dichiarazione d’amore, la cover di The Carpet Crawlers.

Forte del supporto di validi musicisti e nomi prestigiosi come il fratello di Steve Hackett, John (tanto per non farsi mancare il legame carnale con i paladini inglesi), questo primo lavoro del musicista franco-italiano spicca sicuramente per tecnica e qualità di produzione. La lunga suite d’apertura Achilles, divisa in sei movimenti, ci trasporta subito in quelle zone armoniche tipiche del progressive più melodico, senza però mai risultare prevedibile. E sono proprio le linee melodiche il cavallo da battaglia di questo bel disco, che sicuramente gli amanti del genere non potranno perdersi.

Qualcuno potrebbe dire che ce ne sono già stati troppi di omaggi ai vecchi Genesis. Io credo invece che non ce ne saranno mai abbastanza, specialmente se suonano come questo CD. Ascoltate ad esempio Alice’s Eerie Dream, altro pezzo articolato di quasi 12 minuti, con un approccio leggermente più bluesy, diciamo pure alla Flower Kings. Anche le parti vocali, tasto dolente di molti gruppi appartenenti a questo genere, passano egregiamente l’esame. Insomma, se siete alla ricerca di belle emozioni alla vecchia maniera, questo disco fa per voi.

Il disco lo potete ascoltare in streaming sul sito www.franckcarducci.com.

ODDITY
Franck Carducci

1. Achilles 14:51
2. The Quind 09:23
3. The Eyes of Age 04:30
4. Alice’s Eerie Dream 11:50
5. The Last Oddity 10:17
6. The Carpet Crawlers 06:06
7. Alice’s Eerie Dream (radio edit) 03:59

  • Franck Carducci: Basses, Electric and Acoustic Guitars (6 and 12 strings), Melltron, Hammond Organ, Piano, Lead and Classical Guitar, Tambourine, Synths, Mandolin, Tibetan Belss, Handclaps. Lead and Backing Vocals.
  • John Hackett: Flute
  • Larry Crockett on Drums
  • Yanne Matis on Vocals
  • Marianne Delphin on Vocals
  • Nicholas Gauthier on Vocals
  • Richard vecchi on Hammond Organ, Piano and Lead Guitar
  • Phildas Bhakta on Drums
  • Niko Leroy on Hammond Organ and Synth
  • Toff “crazy monk” on Drums
  • Fred Boisson on Bass
  • Vivika Sapari-Sudemäe on Violin

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ZUCCHERO: CHOCABECK

5 Feb

Reccensione di G. Del Lungo

“Un respiro d’aria nuova”, è quello che sente il nostro Sugar, mentre si incammina verso i trent’anni di carriera. Lo dichiara nell’opening di questo Chocabeck (espressione dialettale simpaticamente onomatopeica), un album che forse non stupirà, esclusivamente perché Zucchero è già riuscito a stupire con tutte le armi possibili: l’eclettismo, la multiforme sapienza compositiva, e naturalmente le vette di poesia che ha saputo raggiungere tra un Miserere, un canto soul o una canzonaccia d’amore di stampo classico.

In questo disco di ballate, con qualche parentesi più vivace, l’“aria nuova” si inspira nell’apertura, piuttosto programmatica, e la si butta fuori alla fine. E non è escluso che lasci qualcosa nel cuore, sia al primo ascolto, sia al centesimo, che senz’altro merita. È un vento di nostalgia che ispira le undici tracce di questo piccolo gioiello. Non quella nostalgia stanca di chi ha anni di scorribande ritmiche alle spalle, ma qualcosa di inevitabilmente ispirato e soprattutto concreto: perché i campi, i ruscelli, il sole che illumina il sentiero verso casa sono lì, a portata di orecchio, tra un sussurro e una nota di organo. Come nel Suono della domenica, dove i tratti autobiografici iniziano a farsi strada in modo prepotente, raccontandoci che al paese dove viveva il piccolo Amedeo forse non si danzava fino all’alba su ritmi vudù, ma volendo si poteva cantare nel coro del paese in occasione delle feste.

E in tutto questo amarcord bucolico non c’è molto spazio per le brutte giornate: anche quando le note sono malinconiche, come in Alla fine, che ricorda tanto i toni di quel Blues del 1987, c’è sempre la pace avvolgente dei giorni d’estate. Invece del sole, ci sono i fiati e il pianoforte, e anche quando il ritmo passa dal meditativo al giocoso (Vedo nero, ma anche il singolo spaccaradio È un peccato morir), non c’è niente di sguaiato. Chissà se è davvero finito il tempo delle danze tribali e dei tormentoni funky da pollaio. Per adesso ci si può godere un viaggio nelle melodie delicate di pezzi in cui la voce di Zucchero riscalda davvero, come nella splendida Oltre le rive, forse la traccia più rappresentativa di un disco da ascoltare a occhi chiusi.

Tracklist:

01. Un soffio caldo
02. Someone else’s tears
03. Soldati nella mia citta
04. E’un peccato morir
05. Vedo nero
06. Oltre le rive
07. Un uovo sodo
08. Chocabeck
09. Alla fine
10. Spicinfrin boy
11. God bless the child

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I SUPERGRUPPI DEGLI ANNI ’90

6 Dic

Gli anni novanta hanno visto la rinascita del progressive rock, grazie a una manciata di felici episodi che hanno aperto la strada a nuovi sound e movimenti. La scena svedese nasce, o forse sarebbe meglio dire “rinasce”, con l’avvento di Anglagard e Anekdoten. I loro album di esordio rimangono ancora oggi dei masterpiece del genere. Negli States invece il progressive metal si consolida con Images and Words dei Dream Theater. Ai Marillion, che hanno tenuto il genere in vita durante tutti gli anni ’80, seguiranno una serie di band, soprattutto europee, che rifonderanno il sympho rock dalle ceneri dei grandi maestri degli anni ’70. È un periodo d’oro, quello della prima metà degli anni ’90, al quale seguirà una fase forse ancora più intensa, secondo una linea logica già vista. La seconda metà degli anni ’90 sarà infatti il periodo dei Supergruppi.

Nel 1997 esce Black Light Syndrome dei Bozzio Levin Stevens, al quale farà seguito Situation Dangerous del 2000. Sono due album a dir poco strepitosi, in cui melodia, potenza e tecnica si fondono alla perfezione. Si tratta perlopiù di sperimentazioni ed improvvisazioni, ma i risultati sono a dir poco devastanti.

Nel 1998 due quinti dei Dream Theater (Petrucci-Portnoy) danno vita al progetto Liquid Tension Experiment, con il supporto di Jordan Rudess (allora non faceva ancora parte dei DT) e del solito Tony Levin. La musica dei LTE è veloce, potente, assolutamente travolgente. Già l’anno dopo uscirà il secondo capitolo di questa bella collaborazione, Liquid tension Experiment 2, nel quale i nostri paladini proveranno a spingersi oltre, e a mio avviso con successo. Più deludente invece il terzo capitolo Spontanueus Combustion, datato 2007, privo della chitarra di Petrucci.

Più per palati sopraffini la collaborazione tra Tim Alexander (Primus) e Michael Manring, eclettico bassista americano, con l’aggiunta di Alex Skolnick (Testament). Attention Deficit, uscito nel 1998, è uno dei molti episodi di nobilitazione di musicisti appartenenti a scene estreme, come il metal appunto. A questo album seguirà l’ottimo The Idiot King del 2001.

Si danno da fare anche in Scandinavia, terra di grande tradizione progressiva. Due band culto dell’epoca, Anekdoten e Landberk, coniano il progetto Morte Macabre in cui vengono presentate cover di colonne sonore di vecchi film horror. Ma il momento più intenso dell’album è forse la lunga e drammatica Symphonic Holocaust, unico inedito in scaletta.

Sempre del ’98 il progetto Bruford Levin Upper Extremities, dove mezzi King Crimson incontrano il trombettista jazz Chris Botti e David Torn, che aveva già collaborato nel 1987 con Bill Bruford e Tony Levin nell’acclamato album Cloud Abaout Mercury. In questo caso ci si discosta leggermente dal rock, tuffandosi a capofitto nel jazz e nella fusion.

Nel 1999 Sean Malone dei travolgenti Cynic inizia il progetto Gordian Knot insieme a Trey Gunn, bassista dei King Crimson. Il risultato è un’opera di altissimo livello, che forse rappresenta nel migliore dei modi il fermento creativo di questo periodo. Ci sarà anche un seguito a questo disco, Emergent del 2003, quando ormai l’onda creativa è decisamente in declino.

Sean Malone parteciperà anche ad un’altro bel progetto del 2003, gli Official of Strategic Influence, insieme a Portnoy dei Dream Theater, Jim Matheos dei Fates Warning e il tasterista Kevin Moore, ex Dream Theater. Ed è proprio dai paladini del progressive metal che nascono altri due forti collaborazioni, i Platypus e i Transatlantic.

Non un semplice progetto tra grandi ma una vero supergruppo in stile ELP. I Transatlantic ci regalano in un decennio tre album di “true-progressive-rock” praticamente irraggiungibili, almeno per quanto riguarda la tecnica e il barocchismo. Al solito Portnoy si accostano Neal Morse (Spock’s Beard), Pete Trewavas (Marillion) e Roine Stolt (Flower Kings). Wirldwind, la loro ultima fatica, è del 2009.

Questi sono solo alcuni, ma forse i più importanti, progetti di quel periodo. A mio parere ognuna di queste opere non può mancare nella discografia di un vero progghettaro.

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GLI ASCOLTI DI NOVEMBRE

17 Nov

Sono prevalentemente tre i dischi che girano nel mio lettore Mp3 in questo novembre pieno di grigiore. È un mese ideale per un po’ di folk, per del progressive in veste vintage e soprattutto per la voce dell’oscuro ed alcolico Mark Lanegan.

Gli Agents of Mercy nascono da una costola dei Flower Kings (Roine Stolt e Jonas Reingold) e non si distaccano poi molto dalle sonorità dell’acclamata band svedese. L’uscita di questo secondo album Dramarama, che mi pare più convincente del precedente, farà sicuramente slittare la produzione del nuovo lavoro dei paladini del prog, di cui Stolt è il fondatore. L’ultimo disco dei Flower Kings risale infatti al 2007. Non è mai successo che la band impiegasse così tanto tempo per sfornare un nuovo album, ma i progetti paralleli di Stolt sono molti: Transatlantic, Karmakanic ecc…

Dei Lingalad ne avevo parlato in un articolo precedente. Ho ascoltato il loro nuovo lavoro La Locanda del Vento, che nei testi si distacca dalle solite tematiche tolkeniane del Signore degli Anelli. Un disco molto bello, in cui le atmosfere folkeggianti si amalgamano perfettamente ad un certo stile da “canzone italiana”. È un po’ come se il Branduardi più romantico incontrasse la PFM, o qualcosa del genere. Nel predente articolo avevo dato più risalto ai Fiaba, altra band italiana di musica fantasy, ma dopo aver ascoltato questo disco mi devo un po ricredere. Ascoltatevi Toni il Matto, ad esempio. Un pezzo pieno di forza ed emozione.

E per finire un disco del 2009, Broken dei Soulsavers. I Soulsavers sono un progetto di musica elettronica che mischia un po’ di tutto, dal soul al country, passando ovviamente per il rock, e nascono come duo (Rich Machin e Ian Glover) al quale si aggiungono via via diversi special guests, uno in particolare; Mark Lanegan. L’ex voce degli Screeming Trees appare nella maggior parte dei pezzi di questo disco, con la solita sofferenza di sempre, annaffiata da del sano whisky. Tra gli ospiti troviamo anche quel genio balordo di Mike Patton.

Tre album che vi terranno sicuramente compagnia nelle buie giornate di questo novembre. Cercateli su Filestube.

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THE SWORD + LUNATIC SOUL: Due album per finire Ottobre

30 Ott

Se al primo ascolto non mi aveva troppo convinto, nonostante le ottime recensioni che mi erano passate davanti, ad un successivo approccio mi sono subito ricreduto. L’ultimo album dei The Sword, band americana di stoner, è una vera mazzata allo stomaco, proprio come dovrebbe essere un disco di rock duro. Magnifico il singolo del video Tres Brujas, con un ritornello “cathcy”, ma la vera perla dell’album sono quei sette minuti e mezzo di The Chronomancer I Hubris, un susseguirsi apocalittico di riff martellanti. Un disco ideale per coltivare un po’ di rabbia oppure per scaricarla a tutto volume.

THE SWORD – Warp Riders

1. Acheron/Unearthing the Orb
2. Tres Brujas
3. Arrows in the Dark
4. The Chronomancer I: Hubris
5. Lawless Lands
6. Astraea’s Dream
7. The Warp Riders
8. Night City
9. The Chronomancer II: Nemesis
10. (The Night the Sky Cried) Tears of Fire

Se invece volete qualcosa di più morbido, rimanendo però sempre in zona rock, vi consiglio il secondo lavoro dei Lunatic Soul, progetto parallelo del cantante bassista e del tastierista dei Riverside, neo paladini della scena progressive metal. Si tratta di un lavoro che musicalmente deve molto al sound della band polacca, anche se decisamente più atmosferico e meno metal.

LUNATIC SOUL – Lunatic Soul II

1. The In-Between Kingdom
2. Otherwhere
3. Suspended In Whiteness
3. Asoulum
4. Limbo
5. Escape From ParadIce
7. Transition
8. Gravestone hill
9. Wanderings

Line-up / Musicians

– Mariusz Duda / vocals, bass guitar, acoustic guitar, percussion
– Maciej Szelenbaum / piano, keyboards
– Wawrzyniec Dramowicz / drums, percussion

Cercateli su Filestube

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DAVID SYLVIAN: Sleepwalkers

20 Ott

Gli anni 2000 non sono stati, a mio avviso, il periodo migliore (dal punto di vista musicale, s’intende) per David Sylvian. Dopo aver salutato il vecchio millennio con quel capolavoro di Dead Bees on a Cake, l’autore inglese ha continuato ad alternare la sua passione per l’elettronica e la sperimentazione con i soliti episodi di pop colto, anche attraverso alcune interessanti collaborazioni (Nine Horses e il solito Sakamoto) ma il confine che separava queste due strade si è andato ad assottigliare notevolmente, tanto che l’ultimo Manafon non riuscito neanche ad ascoltarlo per intero.

Adesso esce Sleepwalkers, una compilation che riassume i lavori del nuovo millennio, tutti rigorosamente remixati per l’occasione, così da farlo sembrare più un album che una raccolta. Il minimalismo degli ultimi album è sempre presente, ma si digerisce meglio del solito, grazie ad alcuni pezzi formidabili come Money for all, World Citizen e Wonderful World. Five Lines è l’unico inedito.

Un disco ideale per l’autunno, da ascoltare la mattina col caffè fumante, mentre il vento fuori sferza le cime degli alberi spogliandoli delle ultime foglie.

Songs / Tracks Listing

01. Sleepwalkers (with Martin Brandlmayr)
02. Money for all (with Nine Horses)
03. Ballad of a deadman feat. Joan Wasser (with Steve Jansen)
04. Angels (with Jan Bang and Erik Honorй aka Punkt)
05. World citizen – I won’t be disappointed (with Ryuichi Sakamoto/Chasm mix)
06. Five lines (with Dai Fujikura/ previously unreleased)
07. The day the earth stole heaven (with Nine Horses)
08. Playground martyrs (with Steve Jansen)
09. Exit/delete (with Masakatsu Takagi)
10. Pure genius (with Tweaker)
11. Wonderful world (with Nine Horses)
12. Transit (with Christian Fennesz)
13. The world is everything (with Takuma Watanabe)
14. Thermal (with Arve Henriksen)
15. Sugarfuel (with Readymade FC)
16. Trauma (solo outtake from Blemish)

David Sylvian, Sleepwalkers – Cercalo su Filestube

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NANOWAR: Into The Gay Pride Ride

2 Ott

Ritornano i metallari trasteverini, paladini del rock demenziale più hard, con un secondo album impeccabile, sia dal punto di vista dell’ironia sia per quanto riguarda la tecnica. Avevo già parlato del loro primo lavoro in questo articolo. Into The Gay Pride Ride si apre con omaggio ai Dream Theater da piegarsi dalle risate. Ma è solo una freddura per alleggerire l’atmosfera, perchè subito dopo mettono in mostra tutta la loro abilità tecnica col brano Nanowar. E l’album scivola via sempre su alti livelli… e se poi fate attenzioni ai testi, c’è da pisciarsi addosso dalle risate!

Anche questo album è, come il precedente, scaricabile gratuitamente dalla piattaforma Jamendo. La scelta della band di pubblicare sotto Creative Commons non può che farceli apprezzare di più.

INTO THE GAY PRIDE RIDE

1. Metropolis Part 3 – The legacy 0:09
2. Nanowar 4:04
3. Stormlord of power 2:50
4. Nanowarrior’s Prayer 1:36
5. Blood of the Queens 7:41
6. DJ Fernanduzzo 0:48
7. Odino & Valhalla 5:48
8. Radio Grafia II 0:56
9. Surprise Love 6:33
10. The Forest of Magnaccions 2:45
11. 1 Vs. 100 1:17
12. Look at Two Reels 4:10
13. Lamento Erotico 5:40
14. RAP-sody 1:52
15. Karkagnor’s Song – The Hobbit 6:28
16. Karkagnor’s Song – In The Forest 0:10

Line Up

Uinona Raider – Drums
Mohammed Abdul – Guitars, Choirs
Potowotominimak – Vocals, Orals
Gatto Panceri 666 – Bass, Choirs
Mister Baffo – Vocals, Stage Dance

Scaricalo qui: http://www.jamendo.com/it/album/75948

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QUARANT’ANNI DI TEA FOR THE TILLERMAN

27 Set

Esistono dischi perfetti? Che domanda sciocca… Però mi è sovvenuta subito pensando a questo album.

Quarant’anni fa usciva il capolavoro di Cat Stevens, leggero, melodico, sognante come la sua copertina, disegnata dallo stesso autore. Lasciamo stare per un momento le super classiche “Father and Son” e “Wild World”, che possono anche venire a noia dopo un po’. Pensiamo ad altro. Pensiamo alla triste Lisa, raccontata con voce sofferta, o al brano di apertura, “Where do the children play?”, incantevole e grintoso al tempo stesso.

Rolling Stone Magazine lo mette al 206esimo posto tra i 500 dischi più importanti del rock. Non significa che Rolling Stone sia la bibbia, intendiamoci, e nemmeno che la bibbia sia il libro della verità assoluta, ci mancherebbe solo questo! però è un dato importante. A mio avviso si tratta di uno dei quei momenti in cui tutto cade come dovrebbe cadere, ogni singola nota, ogni battuta, ogni parola. Tea for the Tillerman, a distanza di quattro decadi, suona ancora col solito incanto di sempre. Una mezz’oretta di magia, ecco che cos’è.

Tanti auguri, allora…

TEA FOR THE TILLERMAN

Musica e testi di Cat Stevens

1.Where Do the Children Play? – 3:52
2.Hard Headed Woman – 3:47
3.Wild World – 3:20
4.Sad Lisa – 3:45
5.Miles from Nowhere – 3:37
6.But I Might Die Tonight – 1:53
7.Longer Boats – 3:12
8.Into White – 3:24
9.On the Road to Find Out – 5:08
10.Father and Son – 3:41
11.Tea for the Tillerman – 1:01

Scaricalo qui: http://www.megaupload.com/?d=A478C36U

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